1. Il quadro normativo e regolamentare europeo dalle origini alla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive)
Nel 1987 la Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) enucleava la definizione di “sviluppo sostenibile” quale modello atto a soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacita delle generazioni future di soddisfare i propri (1). Inizio allora il percorso delle istituzioni internazionali sulla strada del cambiamento sostenibile, passando attraverso tappe fondamentali quali l’adozione di Agenda 21 in esito all’Earth Summit (Rio de Janeiro 1992), primo piano d’azione globale fondato sui tre pilastri della sostenibilità, Environmental, Social and Governance, la creazione di UNEP FI, partnership tra il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e il settore finanziario, con l’obiettivo di integrare i criteri ESG nei processi decisionali finanziari, il Global Compact delle Nazioni Unite (2000), iniziativa a carattere non vincolante (2), nell’ambito della quale le imprese erano e sono chiamate a dichiarare le azioni intraprese e gli obiettivi raggiunti e da perseguire in materia di diritti umani, condizioni di lavoro, ambiente e politiche di contrasto alla corruzione, e, l’Agenda 2030 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2015), che declina i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) che sono oggi il quadro di riferimento globale per le politiche pubbliche e per le strategie delle imprese per promuovere un modello di sviluppo equo, inclusivo e compatibile con i limiti planetari.
L’adesione all’Agenda 2030 ha rappresentato per l’Unione Europea l’impegno a integrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile nelle proprie politiche economiche, identificando la centralità del ruolo delle imprese nel processo di cambiamento sostenibile del continente. Peraltro, già nel luglio del 2001 (3), gli organi di governo comunitari riconoscevano come un numero sempre maggiore di grandi imprese europee stesse promuovendo strategie di responsabilità sociale, avendo colto l’importanza di adottare un sistema di governo che conciliasse le diverse istanze di sviluppo sociale, tutela dell’ambiente e rispetto dei diritti fondamentali, nella convinzione che questo approccio contribuisse anche al miglioramento della remuneratività e della competitività del proprio business. Nondimeno, prassi socialmente responsabili cominciavano a ritrovarsi anche in alcune PMI.
Nel decennio successivo la RSI acquisisce una più forte connotazione di approccio strategico nella visione della Commissione UE che, nel 2011 (4), afferma come le istituzioni europee debbano assumere un ruolo di sostegno per contribuire alla diffusione delle buone pratiche, di vigilanza rispetto a condotte commerciali sleali e ingannevoli (il cosiddetto greenwashing), di indirizzamento delle risorse finanziarie a favore delle imprese virtuose e di miglioramento degli standard di divulgazione delle informazioni da parte delle imprese impegnate nello sviluppo sostenibile.
In virtù di tali impegni, e sospinta dalle crescenti pressioni degli investitori finanziari europei che facevano ricorso sempre più spesso a criteri sociali e ambientali per valutare il rischio di prestito o di investimento delle imprese, nell’ottobre del 2014, viene emanata la Direttiva 2014/95/UE (Non Financial Reporting Directive), recante la modifica della Direttiva 2013/34/UE (cosiddetta Direttiva contabile) sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario da parte delle grandi imprese di interesse pubblico.
La NFRD stabiliva, a decorrere dal 2017, l’obbligo, per dette imprese, di predisporre una dichiarazione di carattere non finanziario contenente le informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva; la descrizione delle politiche applicate e dei risultati ottenuti, dei principali rischi negli ambiti ESG connessi alle proprie attività, in particolare in caso di ripercussioni negative, e delle modalità di gestione dei medesimi; gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti in ragione dell’attività specifica dell’impresa, la politica in materia di diversità applicata in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo.
Il dovere di informare introdotto con la NFRD costituì per le grandi imprese di interesse pubblico l’impegno ad adottare comportamenti responsabili rispetto alle tematiche ESG, a misurarne l’efficacia, a identificare e valutare i rischi effettivi e potenziali connessi al proprio settore e all’ambito di attività, a pervenire all’elaborazione di strategie di sviluppo del business coerenti con un effettivo percorso di sostenibilità.
L’esperienza applicativa della NFRD ha, peraltro, evidenziato una serie di limiti e criticità che ne hanno ridotto l’efficacia e reso elevato il rischio di fenomeni di greenwashing.
Da un lato, l’ambito soggettivo di applicazione e stato giudicato eccessivamente ristretto, in particolare, escludendo la gran parte delle imprese di media dimensione. Dall’altro, la NFRD era concepita come normativa di principio e lasciava ampi margini di discrezionalità in merito ai riferimenti metodologici da adottare, in assenza di standard comuni vincolanti (5). Tale flessibilità ha determinato una notevole eterogeneità dei report, con conseguente scarsa comparabilità delle informazioni e riduzione del grado di affidabilità agli occhi degli stakeholder.
Con il Green Deal europeo del 2019, la sostenibilità diventa una priorità politica ed economica per l’Unione che punta a integrare le prassi di responsabilità sociale nella governance aziendale intervenendo sul grado di trasparenza e affidabilità dei report non finanziari. Nel dicembre 2022 viene emanata la Direttiva 2022/2464/UE, cosiddetta CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), e nel luglio 2023, a mezzo del Regolamento 2023/2772, sono approvati gli standard di rendicontazione europei uniformi, ESRS (European Sustainability Reporting Standard), elaborati da EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), disposizioni che costituiscono l’attuale quadro normativo europeo di riferimento in tema di rendicontazione sulla sostenibilita (6).
La CRSD, applicabile a decorrere dall’esercizio in corso al 1° gennaio 2024, ha riformato in modo significativo il testo della norma precedente, con l’intento di superarne le lacune e di rispondere all’incremento della domanda di informazioni societarie strutturate e comparabili sulla sostenibilità.
La CSRD estende il perimetro di applicazione degli obblighi di informativa: pur essendo prevista un’implementazione progressiva e scaglionata, la platea dei soggetti coinvolti si amplia, garantendo una copertura molto rappresentativa del tessuto economico. Per prime, nel 2025 con riferimento all’esercizio 2024, le grandi imprese che costituiscono enti di interesse pubblico (che già assolvevano agli obblighi di cui alla NFRD); a seguire, dal 2026 le imprese di grandi dimensioni non quotate (7) e successivamente le altre PMI quotate e le imprese estere insediate nel territorio dell’Unione.
Riguardo ai contenuti del report, la nuova norma stabilisce che le imprese debbano rendicontare l’impatto delle loro attività sui fattori ambientali, sociali, relativi ai diritti umani e di governance (materialità d’impatto), oltre che gli effetti delle questioni ESG sulla loro performance economica (materialità finanziaria), descrivere come le questioni di sostenibilità sono integrate nello sviluppo del business lungo ’intera catena del valore, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, garantire quale modello e strategia aziendali siano compatibili con la transizione ecologica e l’abbattimento del surriscaldamento globale, coinvolgere i propri stakeholder e tener conto dei loro interessi nei procedimenti di analisi impatto, rischi, opportunità, declinare obiettivi di breve, medio e lungo periodo, fornire piena disclosure sul ruolo degli organi di amministrazione e gestione per quanto riguarda le questioni di sostenibilità, sulle loro competenze, capacita e su eventuali politiche di incentivazione.
Sul piano della credibilità, trasparenza, comparabilità delle informazioni, la CSRD prevede l’inserimento dell’informativa in un’apposita sezione della relazione sulla gestione al bilancio e introduce un obbligo di assurance esterna a livello limited, con prospettiva di evoluzione verso la reasonable assurance, e di pubblicazione in formato digitale standardizzato.
I report devono essere strutturati seguendo standard di rendicontazione comuni e vincolanti, gli ESRS, suddivisi in principi trasversali, per le informazioni di carattere generale sull’impresa, sul modello di business, sul procedimento per l’individuazione dei temi materiali, sul ruolo degli organi di amministrazione e controllo, e principi tematici, specifici sulla gestione dei tre pilastri della sostenibilità, completi di indicatori per misurare nel tempo le performance nei diversi ambiti ESG.
Parallelamente al set di ESRS, la Commissione Europea ha affidato a EFRAG l’elaborazione di uno standard di rendicontazione, denominato VSME (Voluntary Sustainability Reporting Standard), destinato specificatamente alle micro, piccole e medie imprese, non soggette ai vincoli di rendicontazione ordinari, ma chiamate a rispondere alla richiesta da parte delle grandi imprese di fornire informazioni atte a soddisfare le esigenze di indicazioni sulla supply chain, e da parte di banche e investitori per favorire l’accesso ai finanziamenti. Nondimeno, il principio, pubblicato nella sua versione definitiva nel dicembre 2024 con lo scopo prioritario di dotare tali soggetti di uno strumento di rendicontazione semplificato, avrebbe potuto incentivare le imprese di minori dimensioni a intraprendere, su base volontaria, in modo meno pervasivo e impegnativo, il processo di inserimento dei fattori ESG nella gestione delle proprie attività.
2. Il contesto nazionale
Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa in Italia ha vissuto il medesimo percorso delineato in ambito comunitario, subendo la stessa trasformazione da prassi volontaria a elemento strategico e strutturale della governance aziendale.
Le prime esperienze di approccio responsabile provengono dalle grandi imprese che iniziano a dotarsi di codici etici, incentivate anche dall’introduzione del D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, e a sperimentare forme di rendicontazione sociale. Sul fronte legislativo, la prima iniziativa volta all’implementazione dell’approccio etico nell’operatività aziendale e intervenuta nel 2015 con l’introduzione della disciplina sulle Società Benefit di cui alla L. 208/2015. La norma, che vige ancora oggi, consente alle società, tramite apposita disposizione statutaria, di affiancare allo scopo lucrativo specifiche finalità di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente.
L’anno successivo, con il D.Lgs. 254/2016, viene recepita la Direttiva 2014/95/UE (NFRD), che introduce per le grandi imprese di interesse pubblico italiane l’obbligo di redazione e pubblicazione della relazione non finanziaria secondo i dettami comunitari.
I Rapporti di Consob sulla rendicontazione non finanziaria delle società quotate dal 2019 al 2024 offrono un osservatorio privilegiato sull’evoluzione dell’informativa e con essa sul cambiamento culturale che ha interessato detti soggetti con l’introduzione della normativa comunitaria. Fin dalla prima applicazione affiora l’impegno da parte delle società di avviare il processo di analisi dei temi rilevanti in termini di impatto sociale e ambientale, restando più sfumato l’interessamento diretto degli organi di amministrazione e gestione. Con il passare degli anni, si osserva un rafforzamento delle pratiche di integrazione dei fattori ESG, si riscontrano i primi riferimenti alla doppia materialità, con il coinvolgimento attivo degli stakeholder, crescono le competenze e i programmi di formazione, si consolida l’engagement degli organi amministrativi nella definizione di strategie di business coerenti con gli obiettivi sostenibili. I Rapporti evidenziano come le imprese, da un primo approccio più orientato alla mera compliance rispetto all’adempimento normativo, acquisiscono la consapevolezza che il cambiamento può rappresentare fattore di competitività e di creazione di valore nel lungo periodo, preparandosi all’introduzione nel nostro ordinamento della CSRD, il cui recepimento e intervenuto con il D.Lgs. 125/2024 (6 settembre) e che rappresenta oggi il quadro normativo di riferimento anche per l’Italia.
3. Il pacchetto Omnibus e i possibili scenari futuri
Ancor prima dell’entrata in vigore, il sistema stringente di regole delineato dalla CSRD e dai principi ESRS e apparso di elevata complessità applicativa e fin troppo sfidante specialmente per le imprese di media dimensione, meno strutturate, in precedenza non assoggettate ad alcun vincolo informativo.
La CSRD introduce concetti avanzati come la doppia materialità, l’analisi impatti-rischi-opportunità e la disclosure sugli scenari climatici, che molte imprese faticano a interpretare e tradurre in processi concreti, nonché l’informativa ESG lungo la supply chain che comporta una difficolta oggettiva di reperimento di dati affidabili.
Il numero molto elevato di datapoint da raccogliere e monitorare previsto dagli ESRS implica la necessita di investimenti significativi in sistemi informativi, processi interni e formazione del personale.
Sono emersi, poi, la preoccupazione per i tempi di attuazione troppo stretti, il rischio di una sproporzione tra oneri e benefici, ove i costi sostenuti per adeguarsi possano superare i ritorni in termini di redditività, reputazione o accesso al capitale, e infine, il rischio di disallineamento competitivo con mercati extra-UE ove non sussistono normative altrettanto cogenti.
Pur non negando la necessita della transizione verso una rendicontazione più strutturata, la percezione diffusa e stata che il livello di sofisticazione richiesto dalla CSRD fosse eccessivo rispetto alla maturità di gran parte del tessuto imprenditoriale europeo, lasciando poco spazio alla gradualità e alla proporzionalità nell’affrontare il cambiamento.
Semplificare gli oneri normativi e trovare il giusto equilibrio tra obiettivi di crescita sostenibile e competitività sono stati, dunque, i proponimenti della Commissione UE nell’elaborazione del cosiddetto “pacchetto Omnibus”, pubblicato lo scorso 26 febbraio 2025, e contenente un considerevole insieme di proposte di modifica alla CSRD, con lo scopo di renderla più proporzionata da attuare per le imprese:
Alla data attuale, soltanto la proposta di rinvio degli obblighi di rendicontazione di cui all’ultimo punto e stata adottata dal Parlamento e dal Consiglio europei a mezzo della Direttiva 2025/794/UE, cosiddetta Stop the clock, necessaria per consentire l’esame delle altre modifiche avanzate dalla Commissione, ed evitare che imprese che oggi sono assoggettate a doveri di informativa secondo la CSRD, ma che non lo sarebbero in base alle nuove misure, intraprendano un percorso complesso e oneroso di rendicontazione probabilmente non più obbligatorio. La Direttiva 794/2025 e stata recepita in Italia lo scorso mese di agosto con la Legge 118/2025.
Inoltre, nel luglio 2025, la Commissione ha adottato ufficialmente (8) i VSME quale strumento semplificato per le imprese di minore dimensione che intendano approcciarsi alla stesura di una reportistica di sostenibilità su base volontaria, ed e iniziata la consultazione pubblica sulla bozza revisionata degli standard ESRS. La portata delle misure correttive e all’evidenza molto significativa (9).
Da una prima lettura l’iniziativa di semplificazione della Commissione potrebbe apparire estrema in senso opposto rispetto al complesso contesto normativo rappresentato da CSRD ed ESRS attuali, potendo, in particolare la drastica riduzione dei soggetti tenuti alla rendicontazione, comportare il rischio di arretramento nel reperimento di informazioni significative, affidabili e comparabili e la conseguente perdita di capacita degli stakeholder, specialmente finanziari, di valutare l’effettività di un percorso sostenibile in capo alle imprese. Taluni paventano il ritorno a fenomeni di greenwashing, avvertendo il pericolo che sia compromessa la credibilità complessiva del framework europeo di reporting ESG.
Visto sotto una lente diversa, il pacchetto Omnibus sulla Corporate Sostainability può rappresentare, invece, l’occasione per aderire all’idea di una sostenibilità “a misura d’impresa”.
Al tempo di oggi, in cui la sensibilità degli operatori, ma anche della società civile, e spiccata rispetto ai fattori ambientali e sociali, le imprese grandi, ma anche medie e medio-piccole, hanno senz’altro colto e fatto proprio il fatto che il percorso che porta alla transizione verso un modello di business realmente sostenibile, e virtuoso, non solo per la conservazione del pianeta e per l’equità sociale, ma anche in termini di valorizzazione degli investimenti produttivi e in capitale umano che lo stesso richiede, di crescita della cultura aziendale, di competitività economica, di appetibilità sul mercato del lavoro, di reperimento di risorse finanziarie a minor costo e, non ultimo, sotto il profilo reputazionale.
La RSI, nata come iniziativa volontaria proprio dalla sensibilità delle imprese e divenuta leva strategica grazie anche all’intervento politico-legislativo europeo, costituisce oggi un passaggio ineludibile e indifferibile nel processo di sviluppo del business e, dunque, va accolta con favore una rivisitazione del contesto normativo che, nell’ottica di cui sopra, consenta un graduale avvicinamento al processo di transizione sostenibile, che permetta alle imprese anche di non grandissima dimensione, desiderose di accedere e progredire nella strada della sostenibilità, di formulare e formalizzare politiche, azioni e obiettivi su tematiche ESG secondo le proprie potenzialità, capacita e tempistiche, migliorando progressivamente il proprio posizionamento competitivo.
Note:
1 UN 1987, Report of the World Commission on Environmental and Development, Our Common Future, From One Earth to One World I. 3. Sustainable Development.
2 https://unglobalcompact.org/
3 Bruxelles 18.7.2001, COM (2001) 366.
4 Bruxelles 25.11.2011, COM (2011) 681.
5 La Direttiva non ha imposto un modello unico di reporting, ma ha previsto che le imprese potessero basarsi su framework riconosciuti a livello internazionale; tra questi, i più utilizzati sono stati gli Standard elaborati dalla Global Reporting Initiative (GRI), organizzazione internazionale indipendente nata nel 1997 con l’obiettivo di fornire alle imprese un sistema di rendicontazione uniforme sui temi della sostenibilità.
6 Il quadro normativo comunitario si arricchisce, inoltre, del Regolamento sulla Tassonomia UE (Reg. 2020/852), del Piano d’Azione per la Finanza Sostenibile (2018) e del Regolamento sulla finanza sostenibile (Reg. 2019/2088), a mezzo dei quali l’UE ha definito gli strumenti per identificare le attività sostenibili e rendere trasparenti i prodotti finanziari ESG. Nel luglio del 2024 si aggiunge la CSDDD (2024/1760, Corporate Sustainability Due Diligence Directive) sul dovere di diligenza.
7 Sono grandi imprese quelle che superano almeno due dei seguenti parametri: - totale dello stato patrimoniale: 25 milioni; – ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 50 milioni; – numero medio dipendenti occupati: 250.
8 Raccomandazione C(2025) 4984.
9 Nella stessa valutazione della Commissione, l’adozione di tali misure comporterà l’esclusione dagli obblighi di informativa di circa l’80% delle imprese a oggi interessate
Sarah Benettin, dottore commercialista e revisore legale, partner di Cortellazzo&Soatto, Alice Cerato, dottore commercialista e revisore legale, partner di Cortellazzo&Soatto, Susanna Galesso, dottore commercialista e revisore legale, partner di Cortellazzo&Soatto, Erika Cresti, dottore commercialista e revisore legale dello studio Schiesari & Associati, Roberto Schiesari, professore di Economia e Gestione delle imprese del Dipartimento di Management dell'Università degli Studi di Torino e dottore commercialista e revisore legale dello studio Schiesari & Associati, Linka Zangara, Avvocato dello studio Zangara, “Corporate Social Responsibility: il quadro normativo di riferimento”, nel volume “Fisco, Crisi d’impresa, ESG. Un ‘bilancio’ oltre le riforme tra criticità e prospettive”, edito da Il Sole 24 Ore per i 25 anni di ACB Group, network di studi professionali a cui Cortellazzo&Soatto aderisce fin dalla sua costituzione.
Per gentile concessione dell'Editore Il Sole 24 Ore