Premessa
Introdotto con il D.L. 118/2021, in attuazione della Legge delega 53/2021, e successivamente trasfuso nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), l’istituto della composizione negoziata si è progressivamente affermato come un punto di riferimento per l’emersione tempestiva delle difficoltà aziendali e la prevenzione dell’insolvenza. Esso recepisce i principi fondamentali della Direttiva (UE) 2019/1023, segnando un deciso superamento del modello concorsuale tradizionalmente imperniato sull’intervento giudiziale, in favore di un approccio collaborativo e negoziale, fondato sulla logica dell’autoresponsabilità, dell’anticipazione della crisi e della continuità aziendale.
Rispetto ad altri modelli europei, la composizione negoziata presenta caratteristiche peculiari. In Francia, l’istituto più vicino è la conciliation amiable, disciplinata dagli articoli L611-4 e seguenti del Code de commerce: una procedura volontaria, riservata e assistita da un “conciliatore” nominato dal presidente del Tribunale, con funzione di facilitazione degli accordi, ma senza poteri di interferenza sui diritti dei creditori. In Germania, la StaRUG (Unternehmensstabilisierungs - und - restrukturierungsgesetz), entrata in vigore nel 2021, prevede un piano di ristrutturazione extragiudiziale con strumenti di tutela modulabili, applicabile solo prima dell’insolvenza conclamata e condizionato all’approvazione da parte dei creditori per classi.
La composizione negoziata italiana si distingue per il forte presidio istituzionale della fase negoziale, grazie all’introduzione dell’Esperto indipendente, al ricorso a una piattaforma pubblica informatizzata e alla possibilità di attivare misure protettive già nella fase iniziale, in via giudiziale. Essa si configura come uno strumento ponte tra l’autonomia dell’iniziativa imprenditoriale e il perimetro delle tutele concorsuali, con la possibilità di raccordarsi funzionalmente ad altri strumenti di regolazione della crisi (accordi, piani attestati, concordato semplificato). Tali elementi rendono il modello italiano un unicum normativo e operativo nel panorama europeo, capace di coniugare riservatezza, tempestività e accountability procedimentale.
1. Un primo bilancio: evidenze qualitative e tendenze emergenti
Nel corso della sua applicazione, la composizione negoziata ha registrato un numero crescente di istanze di accesso, con una distribuzione territoriale non uniforme. Le regioni in cui si rileva una maggiore concentrazione di richieste – come Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto – presentano generalmente un’elevata densità imprenditoriale, una consolidata rete di relazioni economico-finanziarie e un contesto favorevole all’attivazione di percorsi strutturati di gestione della crisi. La percentuale di esiti favorevoli, pur restando contenuta rispetto al totale dei procedimenti conclusi, assume rilievo sotto il profilo qualitativo: nei casi in cui la composizione si è chiusa positivamente, si sono registrati effetti concreti, quali la salvaguardia della continuità aziendale, la tenuta della filiera fornitori e, in molti casi, la tutela – se non l’incremento – dei livelli occupazionali. In particolare, le situazioni di successo hanno prevalentemente comportato il mantenimento della continuità diretta, con la prosecuzione dell’attività da parte dello stesso soggetto giuridico, grazie a interventi di ristrutturazione del debito, accordi con i creditori o sostegno finanziario esterno. Non trascurabili anche le ipotesi di continuità indiretta, pur riferibili a scenari di maggiore compromissione, attuate mediante trasferimento dell’azienda o di rami d’azienda a terzi. Tali risultati confermano che, quando il percorso viene avviato con tempestività e accompagnato da un adeguato supporto, lo strumento è in grado di produrre impatti significativi sul piano economico e sociale.
2. L’Esperto indipendente: ruolo, responsabilità, aspettative
Figura centrale nel percorso di composizione negoziata è l’Esperto indipendente, soggetto che non si limita a una funzione di mera mediazione, ma rappresenta un punto di equilibrio tra le esigenze dell’impresa, la tutela dei creditori e la salvaguardia dell’interesse generale alla continuità economica. Come evidenziato dalla dottrina, egli agisce quale garante procedimentale, ponendosi come filtro di legittimazione delle scelte dell’imprenditore e come presidio dell’affidabilità dell’intero percorso. I suoi compiti comprendono, tra gli altri:
• la valutazione iniziale della sostenibilità del risanamento e, in seguito, il monitoraggio del suo andamento con segnalazione tempestiva dell’eventuale venir meno delle condizioni per la sua realizzazione;
• l’espressione, su richiesta del giudice, di un parere in merito alla concessione,
• modifica o revoca delle misure protettive;
• la valutazione della coerenza, attendibilità e idoneità delle informazioni fornite dall’imprenditore nel corso del procedimento;
• il controllo sulle operazioni straordinarie e sui pagamenti non coerenti con le trattative, mediante l’esercizio di un potere di raccomandazione volto a evitare
• atti pregiudizievoli per i creditori, ove necessario attraverso il coinvolgimento del giudice.
• la predisposizione di relazioni informative al Tribunale, anche in vista dell’accesso a strumenti successivi (es. concordato semplificato).
Si tratta, quindi, di un incarico che richiede un elevato grado di competenza tecnica, indipendenza e responsabilità deontologica. In ambito applicativo e dottrinale si va consolidando una lettura che riconosce all’Esperto una funzione di garanzia, ispirata ai principi di diligenza, imparzialità e trasparenza. Quanto ai profili di responsabilità, il quadro risulta ancora incerto e in fase di definizione: la normativa vigente non fornisce indicazioni puntuali, lasciando spazio a ricostruzioni interpretative. In via generale, si ipotizza che, in presenza di condotte gravemente negligenti od omissive, possa configurarsi una responsabilità di natura risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 c.c., pur in assenza – allo stato – di un inquadramento normativo compiuto e univoco. In questa prospettiva, si sta progressivamente affermando nella prassi una visione dell’Esperto come presidio attivo della buona fede procedimentale. Non più figura passiva o meramente notarile, egli è chiamato a esercitare una sorveglianza consapevole, dinamica e talvolta proattiva sull’effettività delle trattative, segnalando eventuali condotte elusive o inadempimenti rilevanti, pur in assenza di poteri dispositivi. Questa funzione è essenziale per garantire la correttezza del processo e la fiducia degli stakeholder coinvolti. Tuttavia, va rilevato che le modalità di comportamento degli Esperti non risultano ancora armonizzate: persistono differenze significative nei criteri di valutazione, nell’approccio alle trattative e nel livello di coinvolgimento operativo. In alcuni casi, l’Esperto assume un ruolo molto attivo, promuovendo incontri frequenti, sollecitando le parti, verbalizzando in modo dettagliato e segnalando prontamente eventuali irregolarità o ritardi. In altri, invece, l’Esperto mantiene un approccio più neutrale o “notarile”, limitandosi a registrare quanto accade senza intervenire attivamente, anche in presenza di situazioni critiche. Questa eterogeneità, frequentemente segnalata dagli operatori coinvolti nei tavoli negoziali, evidenzia l’assenza di linee guida univoche e rischia di compromettere l’uniformità applicativa dello strumento, incidendo negativamente sulla prevedibilità degli esiti. Da qui l’esigenza, sempre più avvertita, di definire prassi operative condivise e standard applicativi in grado di garantire coerenza, trasparenza e affidabilità nell’esercizio del ruolo dell’Esperto. In un contesto in cui la prevenzione dell’insolvenza assume un valore sistemico, tale figura si conferma snodo cruciale per assicurare la credibilità dell’istituto, l’equilibrio tra libertà negoziale e tutela del mercato e, più in generale, la costruzione di una prassi stabile e omogenea a livello nazionale.
3. Punti di forza e potenzialità da consolidare
3.1 Flessibilità procedurale e velocità di intervento
L’elemento che maggiormente caratterizza la composizione negoziata è la flessibilità del procedimento, che si distingue nettamente rispetto agli strumenti di natura concorsuale per la ridotta formalizzazione degli adempimenti, l’assenza di requisiti rigidi di accesso e la possibilità di costruire percorsi personalizzati di risanamento. Quando il procedimento viene attivato tempestivamente e con il supporto di un’adeguata assistenza professionale, l’istituto ha dimostrato una significativa efficacia nel facilitare la definizione di soluzioni condivise, anche in tempi contenuti (4-6 mesi). In tali casi, si è potuto evitare l’apertura di procedure giudiziali, preservando la continuità aziendale, il valore economico dell’impresa e, in molti casi, i livelli occupazionali. La natura stragiudiziale, volontaria e riservata della composizione consente all’imprenditore di operare in un contesto protetto ma non paralizzante, con margini di manovra più ampi rispetto ai vincoli propri delle procedure concorsuali. Tale agilità operativa rappresenta un punto di forza rilevante, soprattutto per le piccole e medie imprese che necessitano di strumenti rapidi, sostenibili e orientati alla soluzione.
3.2 Coinvolgimento virtuoso del sistema bancario
Il coinvolgimento tempestivo e costruttivo degli istituti di credito rappresenta un fattore determinante per il buon esito dei percorsi di composizione negoziata. La crisi d’impresa, infatti, si manifesta molto spesso attraverso tensioni finanziarie e squilibri nei rapporti bancari, e in questo contesto la disponibilità degli intermediari a un dialogo proattivo può segnare la differenza tra un risanamento riuscito e il fallimento delle trattative con conseguente avvio di procedure concorsuali. Un primo tentativo di sistematizzazione dei rapporti banca-impresa in sede negoziale è stato compiuto con il Protocollo d’intesa sottoscritto da ABI e Unioncamere il 16 marzo 2022. Il documento ha contribuito a promuovere una maggiore apertura del sistema bancario, superando la percezione – ancora diffusa – della composizione negoziata come anticamera dell’insolvenza, e ha favorito una più tempestiva e motivata valutazione delle richieste di intervento presentate nell’ambito dei tavoli negoziali. Ha, inoltre, incoraggiato, pur nei limiti delle politiche creditizie, una maggiore disponibilità delle banche a considerare ipotesi di moratoria o di rinegoziazione dei finanziamenti, laddove compatibili con la sostenibilità del piano di risanamento. Nei casi più virtuosi, si è osservato un vero e proprio cambio di paradigma nei rapporti banca-impresa: le banche hanno mostrato una rinnovata propensione a supportare attivamente processi di ristrutturazione ordinata del debito, adottando un approccio più collaborativo nella gestione dei crediti deteriorati. Questa evoluzione ha favorito a evitare la frammentazione delle trattative, la convergenza degli interessi tra i principali stakeholder finanziari, contribuendo a costruire una visione condivisa del risanamento e a consolidare un clima di fiducia, condizione imprescindibile per il buon esito delle trattative. Per rafforzare ulteriormente questo dialogo sarà necessario lavorare sulla standardizzazione delle modalità di interlocuzione tra banche ed esperti, sull’adozione di criteri comuni di valutazione dei piani e su un migliore coordinamento tra sportelli bancari, Camere di commercio e advisor. Solo attraverso un coinvolgimento consapevole e qualificato del sistema bancario, la composizione negoziata potrà consolidarsi come strumento ordinario di prevenzione e gestione delle crisi, anche per le piccole e medie imprese. Un ulteriore aspetto di rilievo riguarda la gestione dei debiti bancari assistiti da garanzia pubblica, in particolare quelli garantiti dal Fondo di Garanzia per le PMI gestito da Mediocredito Centrale (MCC). Con la Circ. 8 del 14 ottobre 2022, MCC ha previsto – esclusivamente in ambito stragiudiziale e in assenza di insolvenza – la possibilità di presentare proposte di transazione sui crediti garantiti, anche con una parziale falcidia del debito. Perché la proposta sia ammissibile, devono sussistere alcune condizioni: il pagamento offerto deve garantire al Fondo almeno il 15% del debito residuo, deve essere dimostrato un vantaggio economico rispetto all’alternativa liquidatoria sulla base di un’analisi comparativa documentata, la richiesta deve essere inoltrata prima dell’escussione della garanzia e deve essere corredata da una documentazione completa, tra cui il piano attestato di risanamento, relazioni tecniche e dichiarazioni della banca beneficiaria. Tale possibilità è espressamente esclusa nelle procedure concorsuali – tra cui il concordato preventivo – in quanto la Circ. 8/2022 di MCC limita l’ambito applicativo delle proposte di transazione ai soli contesti stragiudiziali, con l’esplicita esclusione delle situazioni di insolvenza già accertata o delle procedure in corso. Pertanto, non è consentito alcuno stralcio o rinegoziazione del credito garantito con MCC nell’ambito di un concordato preventivo, né a livello di piano, né mediante accordi diretti. L’unico contesto regolato e con il coinvolgimento di un Esperto per attivare un confronto con il Fondo – nel rispetto dei requisiti procedurali indicati – resta, a oggi, la composizione negoziata della crisi. Si tratta di un’opportunità particolarmente rilevante in un contesto in cui molte imprese, specie tra le PMI, hanno contratto debito bancario con garanzia pubblica durante la fase emergenziale post-pandemica. La composizione negoziata consente – almeno in linea teorica – di gestire queste esposizioni in modo ordinato, tutelando la continuità aziendale e la stabilità del sistema bancario, senza pregiudicare gli interessi del Fondo.
3.3 Crescita della consapevolezza organizzativa
La composizione negoziata produce anche effetti indiretti di rilievo, tra cui spicca l’impulso verso una maggiore consapevolezza organizzativa e gestionale da parte delle imprese, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni. Il percorso negoziale, infatti, richiede all’imprenditore di effettuare una valutazione strutturata della propria situazione economico-finanziaria e gestionale fin dalla fase preliminare, attraverso strumenti predisposti a livello nazionale – il test pratico di risanabilità, la lista di controllo sull’adeguatezza degli assetti e il protocollo di conduzione delle trattative – previsti originariamente dall’art. 3 del D.L. 118/2021 e oggi confluiti nell’art. 12 del Codice della Crisi. Questi strumenti, tuttavia, non si esauriscono nella loro funzione tecnica di accesso al percorso della composizione negoziata, ma si pongono in coerenza con il più ampio obbligo organizzativo sancito dall’art. 3 del Codice della Crisi e dall’art. 2086 c.c., contribuendo a promuovere un approccio preventivo e sistemico alla gestione delle difficoltà aziendali. Il processo di autovalutazione che ne deriva non è un adempimento meramente formale, ma impone una riflessione concreta sulla sostenibilità del debito, sulla qualità della governance e sull’idoneità degli assetti organizzativi a rilevare tempestivamente segnali di squilibrio. In diversi casi, questo momento iniziale ha rappresentato un punto di svolta per imprese che non disponevano di un sistema organizzativo evoluto. Il confronto con il percorso negoziale ha favorito l’adozione – anche al di fuori del perimetro della crisi – di strumenti di gestione che fino a poco tempo fa risultavano appannaggio quasi esclusivo delle aziende di maggiori dimensioni, come i cruscotti di controllo e l’analisi dei margini per centri di costo, i piani industriali pluriennali con scenari alternativi, i sistemi di reporting finanziario legati a indicatori di sostenibilità e gli strumenti di simulazione finanziaria come il DSCR e il rendiconto prospettico. In prospettiva, il potenziamento della composizione negoziata potrà contribuire a radicare nel tessuto imprenditoriale italiano – tradizionalmente caratterizzato da modelli gestionali informali – una cultura della pianificazione, della trasparenza informativa e dell’analisi prospettica, rafforzando così la resilienza delle imprese ben oltre la gestione della crisi. In questo contesto, la composizione negoziata si è dimostrata un potenziale fattore abilitante di trasformazione organizzativa, in grado di stimolare un salto di qualità nella gestione e di rafforzare la capacità di reazione anticipata rispetto all’insorgere della crisi. Anche nei casi in cui il percorso non abbia condotto a un accordo con i creditori, il confronto con l’Esperto e con i professionisti coinvolti ha lasciato in molte realtà un patrimonio di competenze e strumenti utili per la fase successiva.
3.4 Prolungamento degli effetti e coerenza del percorso (art. 22, co. 1-bis CCII)
Tra le novità introdotte dal D.Lgs. 83/2022 (il c.d. “correttivo ter”) vi è l’inserimento del co. 1-bis all’art. 22 del Codice della Crisi, che consente al giudice di disporre la prosecuzione degli effetti autorizzativi anche dopo la chiusura formale della composizione negoziata, qualora ciò sia ritenuto funzionale al buon esito delle trattative o alla salvaguardia della continuità aziendale (1). Questa previsione ha segnato un importante passo evolutivo nella natura dell’istituto, rafforzandone la flessibilità e la continuità funzionale. Si supera così il limite – precedentemente invalicabile – di far coincidere rigidamente l’efficacia delle autorizzazioni giudiziali (es. misure protettive o pagamenti preferenziali) con la durata formale della composizione. In presenza di trattative ancora in corso ma promettenti, o di soluzioni di risanamento già strutturate ma non ancora formalizzate, il giudice può ora garantire la prosecuzione degli effetti in un quadro di coerenza e protezione giuridica. In termini pratici, ciò consente all’imprenditore di proseguire in modo ordinato il percorso negoziale, beneficiando delle misure autorizzate (es. blocco delle azioni esecutive, autorizzazione a contrarre finanziamenti, pagamento selettivo di fornitori strategici) anche oltre il termine della composizione, evitando così soluzioni affrettate o artificiose finalizzate solo a rispettare un vincolo temporale. Tale disposizione conferisce alla composizione negoziata una valenza dinamica e progressiva, rendendola uno strumento “ponte” in grado di accompagnare l’impresa in una transizione graduale verso il risanamento, sia in continuità pura che in continuità indiretta o mediata da altri strumenti (es. accordi di ristrutturazione o piano attestato). In prospettiva, l’effettiva valorizzazione dell’art. 22, co. 1-bis, potrà favorire un utilizzo più flessibile e prolungato della composizione negoziata, in particolare da parte delle imprese che necessitano di tempi più distesi per giungere alla definizione di soluzioni sostenibili. Potrà inoltre contribuire a ridurre il rischio di transizioni forzate verso strumenti concorsuali, motivate unicamente da vincoli temporali, e consentire al giudice di esercitare un ruolo maggiormente orientato alla funzionalità concreta delle misure adottate, in linea con i principi di proporzionalità e di salvaguardia della continuità economica sanciti dalla Direttiva (UE) 2019/1023. In definitiva, questa disposizione rafforza la natura progressiva, adattabile e sostanzialmente “su misura” della composizione negoziata, rendendola uno strumento capace di accompagnare le imprese in crisi lungo percorsi realistici, articolati e coerenti con le effettive condizioni aziendali, senza le rigidità proprie delle procedure concorsuali tradizionali.
4. Le principali criticità operative
4.1 Attivazione tardiva del percorso
Il ritardo nell’attivazione del percorso di risanamento rappresenta una delle criticità più ricorrenti nell’applicazione della composizione negoziata. Spesso le imprese vi accedono solo dopo che si sono già verificati inadempimenti contrattuali, una perdita di credibilità finanziaria o l’avvio di azioni esecutive da parte dei creditori. Questa tempistica compromessa si traduce, di frequente, in una sostanziale inefficacia dello strumento: l’intervento dell’Esperto non è più in grado di ricomporre il dialogo tra le parti o di costruire un percorso credibile di risanamento. Ne consegue che l’istanza si chiude in tempi brevi, con la constatazione dell’impossibilità di pervenire a un accordo e, nella maggior parte dei casi, con il successivo avvio di procedure liquidatorie. Si tratta di un evidente scostamento rispetto alla finalità fisiologica dell’istituto, che nasce come meccanismo di prevenzione e non come rimedio postumo all’insolvenza conclamata. Le ragioni di questo slittamento temporale sono molteplici: nelle piccole e medie imprese, in particolare, è ancora poco diffusa una cultura organizzativa orientata alla prevenzione e mancano spesso strumenti interni di controllo di gestione o indicatori in grado di segnalare per tempo gli squilibri. A ciò si aggiungono la riluttanza dell’imprenditore ad affrontare tempestivamente la crisi – spesso per timori reputazionali, resistenze psicologiche o carenza di consulenza qualificata – e una limitata diffusione delle competenze manageriali e finanziarie necessarie per interpretare correttamente i segnali anticipatori della crisi. Per rendere realmente efficace la composizione negoziata è dunque essenziale che l’attivazione avvenga in una fase ancora reversibile della crisi, quando è ancora possibile negoziare soluzioni con i creditori e ricostruire la fiducia degli stakeholder. In quest’ottica assume un ruolo centrale la diffusione di strumenti di autodiagnosi, la valorizzazione degli assetti organizzativi adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. e il rafforzamento delle attività di formazione e sensibilizzazione rivolte agli imprenditori. In prospettiva, il successo dell’istituto passerà anche dalla capacità del sistema economico e professionale di promuovere un cambiamento culturale, capace di incentivare l’emersione tempestiva delle difficoltà e di favorire il ricorso preventivo a strumenti di composizione negoziale, prima che la crisi diventi irreversibile.
4.2 Misure protettive e cautelari: il difficile equilibrio tra tutela dell’impresa e protezione dei creditori
Le misure protettive e cautelari previste dal CCII, facoltativamente attivabili dal debitore nell’ambito della composizione negoziata della crisi, sono strumenti fondamentali per garantire un adeguato periodo di negoziazione e favorire l’efficacia del processo di risanamento aziendale. Questi strumenti non solo proteggono l’impresa in difficoltà, ma salvaguardano anche gli interessi dei creditori, favorendo il raggiungimento di un accordo di ristrutturazione sostenibile. In particolare, sono destinati a preservare il valore dell’impresa, impedendo che azioni esecutive premature compromettano le possibilità di risanamento. In tal modo, contribuiscono a mantenere un equilibrio tra la necessità di tutelare la continuità aziendale e il rispetto dei diritti dei creditori. Nel concreto, l’applicazione delle misure protettive e cautelari previste dal CCII, sebbene fondamentali per il risanamento dell’impresa, è ancora segnata da numerose incertezze. Queste incertezze sono testimoniate da una giurisprudenza non uniforme, che non fornisce un orientamento consolidato sulla loro applicazione. Le interpretazioni delle misure, infatti, variano notevolmente a seconda del tribunale e delle specificità del caso, creando difficoltà pratiche per le imprese e i creditori, che si trovano a dover fare affidamento su decisori giuridici che possono adottare approcci differenti. Tale mancanza di uniformità complica la gestione delle misure protettive, poiché non c’è sempre chiarezza su come determinati strumenti debbano essere applicati e in che misura possano essere estesi o limitati in relazione alle necessità del debitore e alla posizione dei creditori. In questo contesto, si rende necessaria una graduale stabilizzazione giurisprudenziale che permetta di applicare le misure in modo più uniforme e prevedibile, riducendo così le incertezze e favorendo un processo di risanamento più efficace. La situazione più problematica nell’applicazione delle misure protettive riguarda i rapporti con gli istituti di credito. In particolare, uno degli aspetti più critici emerge nei casi in cui si trovano piani di risanamento in continuità, che non prevedono tanto il complicato accesso in sede di composizione negoziata a nuovi finanziamenti, quanto piuttosto il mantenimento di linee di affidamento esistenti, spesso limitate alle forme a breve termine. In questi casi, le regole di ingaggio per gli istituti di credito sono fortemente condizionate dalla normativa EBA (European Banking Authority), che impone alle banche di trattare con particolare attenzione i finanziamenti alle imprese in difficoltà, soprattutto in contesti di insolvenza o ristrutturazione del debito. La normativa EBA stabilisce linee guida precise sui rischi di credito legati alle operazioni di ristrutturazione e sul trattamento dei crediti deteriorati (NPLs, Non-Performing Loans). Nella pratica, le tematiche connesse alla gestione del credito, alla classificazione dei crediti, ai rapporti con la centrale rischi e, in alcuni casi, alla garanzia di Mediocredito Centrale pongono sfide aggiuntive per le banche. In particolare, il rischio di perdere la garanzia del Mediocredito incide sulla decisione di concedere nuovi finanziamenti o mantenere quelli esistenti, spingendo le banche a adottare un atteggiamento cauto. Se l’impresa cerca di ottenere misure protettive (come la sospensione dei pagamenti ai creditori) senza aver dimostrato una prospettiva concreta di risanamento, la banca potrebbe trovarsi nella posizione di finanziare una continuità aziendale non sostenibile, con il rischio di un ulteriore deterioramento del credito. In questo contesto, la normativa EBA esercita una forte pressione sulle banche, spingendole a limitare l’erogazione di credito alle imprese in difficoltà finanziaria o prive di un piano di risanamento solido. Questo crea un dilemma per gli istituti di credito: se da un lato sono chiamate a supportare la continuità aziendale e il risanamento, dall’altro devono proteggere la propria posizione patrimoniale, evitando di esporsi ulteriormente a crediti ad alto rischio di deterioramento.
4.3 Utilizzo improprio del concordato semplificato e rischi per la composizione negoziata
Tra le criticità emerse nell’applicazione pratica della composizione negoziata si segnala anche una tendenza, in alcuni casi, a un uso improprio dell’istituto, attivato non per finalità effettive di risanamento, ma con l’unico scopo di accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Sebbene quest’ultima procedura sia stata introdotta nel Codice della Crisi proprio per offrire una via d’uscita ordinata e rapida nei casi in cui il tentativo negoziale non abbia prodotto esiti positivi, l’utilizzo distorto ne ha alterato, in alcuni casi, la logica ispiratrice. In particolare, è accaduto che l’imprenditore – talvolta in modo consapevole, talvolta su impulso dei propri consulenti – abbia avviato la composizione negoziata non con l’intento autentico di aprire un confronto con i creditori, ma al solo fine di ottenere la relazione dell’Esperto di negativa riuscita degli accordi, necessaria per accedere al concordato semplificato. In queste ipotesi, la composizione viene svuotata della sua funzione preventiva e trasformata in un mero passaggio tecnico per giungere a una procedura liquidatoria semplificata, meno onerosa rispetto a quelle tradizionali. Questo scivolamento funzionale ha determinato una crescente attenzione da parte della giurisprudenza, che ha cominciato a esercitare un controllo più incisivo sulla buona fede procedimentale e sull’effettiva esistenza di un confronto negoziale. Si è così assistito, da un lato, a un aumento delle decisioni che negano l’accesso al concordato semplificato per carenza dei presupposti sostanziali; dall’altro, a una maggiore attenzione da parte degli Esperti nel documentare – nelle relazioni conclusive – la mancanza di iniziativa negoziale l’inadeguatezza della documentazione presentata. Questa deriva strumentale, oltre a indebolire l’efficacia della composizione negoziata, rischia di svalutarne anche il contenuto culturale e procedurale, riducendo il ruolo dell’Esperto a un semplice certificatore dell’inevitabilità della liquidazione, anziché a un facilitatore di soluzioni di continuità. Per evitare tali esiti devianti sarà fondamentale assicurare un utilizzo coerente e funzionale del concordato semplificato, riconducendolo alla sua vocazione originaria: quella di offrire uno strumento agile e rapido di liquidazione solo all’esito di un percorso negoziale effettivamente esperito e fallito. Un’attivazione tempestiva della composizione negoziata, supportata da un approccio professionale orientato al risanamento e non alla liquidazione, può ridurre il rischio che lo strumento venga utilizzato in modo strumentale per accedere al concordato semplificato. In questa prospettiva, è essenziale promuovere una cultura alla trasparenza e alla responsabilità, in cui la composizione negoziata venga colta come occasione per il rilancio dell’impresa e non come mero passaggio preliminare per finalità liquidatorie.
4.4 Costi indiretti e sostenibilità economica
Pur essendo formalmente gratuito sul piano dell’accesso, in quanto non soggetto a contributi unificati o a spese di avvio, il percorso di composizione negoziata può comportare, nella pratica, un onere economico significativo, soprattutto per le micro e piccole imprese. I costi indiretti si manifestano già nella fase iniziale, con la necessità di predisporre un’ampia documentazione economico-finanziaria richiesta dalla piattaforma, che include, tra gli altri, business plan, bilanci previsionali, report di sostenibilità e situazioni patrimoniali dettagliate. A ciò si aggiunge la redazione di attestazioni tecniche, necessarie soprattutto nei casi in cui si intenda accedere a misure protettive o coinvolgere il sistema bancario, nonché il ricorso all’assistenza di consulenti legali, finanziari e contabili, figure spesso imprescindibili per accompagnare il percorso negoziale con adeguata competenza. Anche l’onorario dell’Esperto, pur essendo definito secondo parametri nazionali, può rappresentare un aggravio rilevante per le imprese di minori dimensioni, in assenza di un contributo pubblico o mutualistico a copertura totale o parziale dei costi. Tale quadro ha determinato, in molti casi, una barriera economica all’accesso effettivo alla procedura per le imprese meno strutturate, le quali, pur in presenza di segnali di crisi, rinunciano ad attivare il percorso per l’impossibilità di sostenerne le spese tecniche e organizzative. In particolare, si rileva una generale carenza di strumenti di finanziamento ponte e di garanzie di primo livello che possano sostenere l’investimento iniziale in attività di advisory, necessarie per l’avvio del confronto negoziale. In questo contesto, si avverte sempre più l’urgenza di misure volte a garantire la sostenibilità economica dell’istituto, attraverso strumenti di incentivazione, anche a livello regionale, capaci di coprire parte dei costi di consulenza e delle attività preliminari, mediante convenzioni con i confidi, che possano agevolare l’accesso a finanziamenti temporanei destinati alla ristrutturazione del debito, o mediante fondi pubblici e bandi dedicati, finalizzati a promuovere un accesso equo e diffuso alla composizione negoziata, con particolare attenzione alle aree economicamente più fragili del Paese. La sostenibilità economica dell’istituto rappresenta, in ultima analisi, una condizione imprescindibile per il suo consolidamento strutturale. In assenza di un adeguato supporto operativo e finanziario, la composizione rischia di rimanere uno strumento utilizzabile solo da imprese medio-grandi o da realtà già dotate di una solida capacità organizzativa, con il rischio di escludere proprio le PMI più fragili, per le quali la tempestività dell’intervento e l’assistenza qualificata potrebbero rappresentare l’unica via concreta per evitare l’insolvenza e salvaguardare la continuità aziendale.
4.5 Complessità nella gestione dei debiti bancari garantiti da Mediocredito Centrale
Nei percorsi di composizione negoziata emerge con frequenza la difficoltà di gestire i debiti bancari assistiti da garanzia pubblica, in particolare quelli garantiti dal Fondo di Garanzia per le PMI, gestito da Mediocredito Centrale. In tali situazioni, la ristrutturazione del debito si scontra con tempi autorizzativi significativamente più lunghi rispetto a quelli ordinari, dovuti alla necessità di coinvolgere formalmente l’ente garante nel processo di revisione delle condizioni del finanziamento. Le banche, infatti, non sono libere di rinegoziare o stralciare posizioni garantite senza il previo assenso di Mediocredito Centrale, pena la perdita della garanzia. Questo vincolo introduce un elemento di rigidità procedurale che può rallentare – o, in alcuni casi, compromettere – l’efficacia delle trattative, soprattutto quando il credito garantito rappresenta una quota rilevante dell’esposizione complessiva. Le conseguenze pratiche di questa criticità si manifestano nella dilatazione dei tempi necessari alla formalizzazione degli accordi bancari, nell’incertezza sugli esiti delle interlocuzioni con gli istituti di credito – che rende più complessa la costruzione di piani sostenibili – e nel rischio che il tavolo negoziale fallisca per ragioni non legate alla validità economico-finanziaria della proposta. In prospettiva, appare quindi urgente avviare un dialogo istituzionale con Mediocredito Centrale, volto a definire linee guida operative specifiche per le situazioni di crisi affrontate nell’ambito della composizione negoziata, a prevedere tempi certi e canali dedicati per la gestione delle richieste di autorizzazione alla modifica delle condizioni dei finanziamenti garantiti, e a promuovere – in collaborazione con ABI e con le Camere di commercio – protocolli di coordinamento che consentano una gestione integrata delle garanzie pubbliche. Senza un intervento in tal senso esiste il rischio concreto che lo strumento della composizione negoziata si riveli inefficace proprio nei casi in cui la crisi abbia già determinato un’elevata esposizione bancaria, spesso aggravata dall’indebitamento garantito contratto durante la fase emergenziale post-COVID. Questa rigidità – pur comprensibile in un’ottica di tutela del Fondo – risulta in evidente tensione con la natura preventiva e flessibile dell’istituto, rischiando di comprometterne l’efficacia nel gestire, in sede stragiudiziale, posizioni garantite dallo Stato. In altri termini, il vantaggio teorico rappresentato dalla possibilità di coinvolgere Mediocredito Centrale rischia di tradursi in una criticità pratica, in assenza di un canale operativo che sia rapido, prevedibile e trasparente.
5. Conclusioni: un cantiere aperto verso l’ordinaria gestione della crisi
La composizione negoziata rappresenta, oggi più che mai, un passaggio cruciale nel processo di evoluzione del diritto della crisi d’impresa verso un modello fondato sulla prevenzione, sulla responsabilizzazione dell’imprenditore e sulla valorizzazione della continuità aziendale diretta o indiretta. Non si tratta di uno strumento straordinario o residuale, ma di un istituto destinato a consolidarsi come presidio ordinario per incardinare la gestione delle difficoltà aziendali, anche alla luce della sua capacità di attivare percorsi di risanamento tempestivi, riservati e strutturati, in un contesto non giudiziale, ma comunque regolato. Perché tale potenzialità possa tradursi in effettività operativa è necessario intervenire su più livelli. In primo luogo, occorre rafforzare la cultura organizzativa e manageriale delle imprese, favorendo la diffusione di strumenti di autodiagnosi, il ricorso a sistemi di controllo di gestione e la formazione economico-finanziaria dell’imprenditore. In secondo luogo, è indispensabile consolidare la figura dell’Esperto, attraverso requisiti più elettivi, percorsi formativi qualificanti e meccanismi di valutazione che ne assicurino l’effettiva preparazione e l’omogeneità dell’approccio, chiarendo nel contempo il perimetro delle sue responsabilità. Accanto a questi aspetti, va affrontato con urgenza il tema della sostenibilità economica dell’istituto, attraverso l’introduzione di strumenti di incentivazione, fondi pubblici, convenzioni con i confidi e iniziative regionali in grado di garantire un accesso equo anche alle imprese meno strutturate. Un ulteriore fronte di intervento riguarda la necessità di istituzionalizzare il dialogo con Mediocredito Centrale, affinché la possibilità, oggi prevista ma spesso difficile da attuare, di gestire in via stragiudiziale i debiti garantiti dallo Stato si trasformi in una leva effettiva di risanamento. A tal fine, occorre prevedere canali dedicati, linee guida operative condivise e tempi certi di risposta, in coerenza con l’urgenza delle situazioni affrontate e con la funzione preventiva della composizione negoziata. In assenza di un simile adeguamento, il rischio è che proprio i casi più rilevanti – ossia quelli in cui l’indebitamento assistito da garanzia pubblica è stato contratto nella fase emergenziale e ha determinato una significativa esposizione – restino esclusi dal perimetro di efficacia dello strumento. Da ultimo, ma di non minore rilevanza, è la necessità di stabilizzare le applicazioni giuridiche relative alle misure protettive e cautelari previste dal CCII, poiché le attuali incertezze giurisprudenziali rischiano di compromettere la prevedibilità e l’efficacia di tali misure. L’assenza di orientamenti consolidati da parte della giurisprudenza crea difficoltà pratiche per imprese e creditori, aumentando l’incertezza sui tempi e le modalità di applicazione delle misure, in particolare nei rapporti con gli istituti di credito. Inoltre, le regole EBA impongono alle banche di trattare con cautela i finanziamenti a imprese in difficoltà, condizionando ulteriormente la possibilità di mantenere linee di credito esistenti. In questo contesto, si rende necessaria una graduale stabilizzazione giurisprudenziale che permetta di applicare le misure in modo più uniforme e prevedibile, riducendo così le incertezze e favorendo un processo di risanamento più efficace. Non basta, tuttavia, che le banche seguano le indicazioni della normativa EBA: è cruciale che gli istituti bancari adottino comportamenti coerenti e regole uniformi nella gestione delle difficoltà aziendali. L’adozione di approcci standardizzati nelle decisioni relative al finanziamento e al mantenimento delle linee di credito contribuirà a ridurre le disparità di trattamento tra le imprese, aumentando la prevedibilità degli esiti. La mancanza di uniformità nelle politiche bancarie può, infatti, aggravare ulteriormente le difficoltà delle imprese in crisi, creando incertezze che minano la fiducia negli strumenti di risanamento. Il futuro della composizione negoziata dipenderà, in ultima analisi, dalla capacità degli operatori coinvolti – imprenditori, Esperti, professionisti, banche, Camere di commercio e istituzioni – di sviluppare una prassi coerente, trasparente e culturalmente condivisa. Solo in questo modo sarà possibile trasformare un istituto ancora giovane, e per certi versi sperimentale, in un riferimento stabile e funzionale per la gestione delle crisi d’impresa che possa consolidarsi come strumento ordinario e operativo nel lungo periodo.
Note:
1 L’art. 22, co. 1-bis, D.Lgs. 14/2019, introdotto dal D.Lgs. 83/2022 recita «Gli effetti dell’autorizzazione concessa ai sensi del co. 1 possono prodursi, nei limiti di quanto stabilito dal giudice, anche successivamente alla chiusura della composizione negoziata, ove ciò sia funzionale alla positiva conclusione delle trattative o alla continuità aziendale».
Gianfranco Peracin, dottore commercialista e revisione legale, partner di Cortellazzo&Soatto, “Composizione negoziata: luci e ombre tra prassi e diritto vivente”, nel volume “Fisco, Crisi d’impresa, ESG. Un ‘bilancio’ oltre le riforme tra criticità e prospettive”, edito da Il Sole 24 Ore per i 25 anni di ACB Group, network di studi professionali a cui Cortellazzo&Soatto aderisce fin dalla sua costituzione.
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